Mister, oggi giochiamo ?

di Maurizio Simionato

Chi di noi da giovane non ha mai fatto questa domanda, oppure, da allenatore, non se l’è mai sentita porre?
Non importa quale età, categoria (giovanile o seniores), sport, tipo di campionato (con federazione o enti di promozione sportiva).
Su qualunque campo o palestra, in qualsiasi allenamento o fase della stagione sportiva è il ritornello preferito da ragazze e ragazzi. Da sempre, e, immagino, per sempre.
La parola chiave è ovviamente “giochiamo”. Perché noi allenatori possiamo fare le pianificazioni e le programmazioni migliori del mondo, ma poi uscendo dagli spogliatoi per l’allenamento i nostri atleti ci chiederanno sempre questa stessa cosa. Giocare. Altro che “diagonali difensive”, “copertura del pallonetto” o “taglia-fuori”.
“Coach, giochiamo”? E noi cosa riusciamo a rispondere?

Ormai da un po’ di anni hanno preso piede metodologie di allenamento tecnico “attraverso il gioco” e non più solo “preparatorie al gioco”. La classica sequenza “analitico-sintetico-globale” viene in parte o del tutto ribaltata con un approccio che parte dall’esperienza del gioco, indipendentemente dal livello qualitativo.
Giusto o sbagliato? Ci sono pareri discordanti, come sempre, e non parlo di noi allenatori di provincia, di campi in periferia o palestre con l’intonaco che cade. Parlo di allenatori di livello internazionale, di stadi da decine di migliaia di posti e palazzetti con le gradinate.
Prendiamo il calcio (che in Italia ha quei famosi 60 milioni di Commissari Tecnici…): secondo giorno di preparazione estiva pre-campionato, e sui giornali leggiamo: il programma di allenamento di oggi prevede potenziamento atletico e partitella.

Oppure prendiamo il volley, dove un guru riconosciuto in tutto il mondo come Julio Velasco è stato tra i primi a parlare di questo metodo di “imparare giocando”, sconvolgendo le idee di tutti i maggiori allenatori (e si parla di almeno venti anni fa…).
Chi ha ragione? I vecchi allenatori di matrice russa che scomponevano il singolo gesto atletico o tecnico in infinite parti, allenandone ciascuna con metodo super-analitico in modo quasi ossessivo (fino a portare a volte alla noia totale l’atleta), per poi ricomporne i pezzettini pian piano, oppure i nuovi “maestri” magari meno esperti di biomeccanica del movimento, ma forse più attenti ad aspetti che coinvolgono maggiormente l’emotività, la soddisfazione rapida di un’esigenza?

Del resto, se ci si pensa, la figura dei “Mental Coach” oggi sempre più in voga (a proposito: quanti di noi la ritengono interessante?) è un’istituzione recente, così come è pressoché un dato di fatto che la disponibilità dei giovani alla fatica fisica profonda e prolungata (i Pietro Mennea per intenderci) è andata via via diminuendo per mille motivi di tipo sociale, per lasciare più spazio al desiderio/necessità di “far vedere e farsi vedere”, di “fare subito”, salvo poi magari cadere nelle paure della serie “eh, ma non sono capace” e impantanarsi alla prima difficoltà seria.
Beninteso: non si tratta di giudicare i ragazzi, ci mancherebbe, ma semplicemente di osservare e verificare.
Il “Mister, giochiamo?” denota chiaramente quel “tutto e subito” per poi poter magari sfoderare imitazioni dei gesti dei grandi campioni (il tipico “Siuuuu” del bambino di 10 anni che riesce a fare un gol e ripete un po’ a pappagallo la scenetta del Cristiano Ronaldo di turno)
Noi allenatori da che parte dobbiamo stare? Quale metodologia preferiamo usare? Quanto spazio nelle nostre ore di allenamenti dobbiamo dedicare al gioco? E se decidiamo optare per questo tipo di lavoro, sappiamo poi come, quando, con che frequenza intervenire sul gioco, interrompendolo per spiegare, per far ripetere, per analizzare non solo la fase finale ed esteriore di un gesto, ma anche il perché è stato eseguito in quel determinato modo (magari giusto, magari sbagliato), risalendo all’origine della causa? Sappiamo (andando a ritroso) risalire ai fattori che hanno determinato quanto accaduto, o ci limitiamo a dire “bravo” oppure “hai sbagliato perché sei arrivato sulla palla in ritardo”? Che significa “in ritardo”? Rispetto a cosa? Di quanto tempo? Rispetto a chi? Quale sarebbe dovuta essere l’esatta tempificazione?

Questo genere di domande, probabilmente, sorgerebbe con minor frequenza passando attraverso il metodo classico dell’analitico-sintetico-globale, dove si arriva al gesto finale per step successivi, incrementali, e paragonati su modelli tecnici ben definiti e descritti in ciascuna delle fasi che lo compongono. Per contro il rischio della “noia” di un cammino di questo tipo è molto alto (oltre al fattore “tempo a disposizione” che speso risulta determinante, nostro malgrado).
Il tema sfiora quindi quello (molto complesso) della “correzione dell’errore”, ma questa è tutta un’altra storia (magari per una prossima puntata…).

Per ora a tutti noi resta la fatidica domanda: “Mister giochiamo?”.
Non credo esista un’unica risposta valida, né una ricetta fissa (“Sì, gli ultimi venti minuti”, oppure “Solo dopo che dimostrerete di essere in grado di fare questo specifico movimento che ora proveremo”, oppure “si gioca solo nell’ultimo allenamento che precede la gara”, e così via).
Sta alla nostra sensibilità, conoscenza dei ragazzi, dei loro umori, ma anche delle loro necessità. Non è affatto detto che solo per “farceli amici”, per “portarli dalla nostra parte”, per “quieto vivere” si debba rispondere sempre sì, o, al contrario, per punizione o per “auto-dipingerci” come “sergenti di ferro”, rimarcare volutamente una “autorità” (della quale magari non c’è affatto bisogno e che è ben diversa dalla “autorevolezza”), rispondere sempre “no”.
Equilibrio, sensibilità, competenze, attenzione. Credo siano questi i pilastri che dovrebbero stare alla base dei metodi che decidiamo di usare. Allenare non è una scienza matematica, non sempre due più due fa quattro. Copiare gli altri serve a poco, a volte è persino controproducente.
Ad ogni allenamento siamo chiamati a pensare “perché faccio fare questa cosa?” “A chi/cosa serve?” “E’il momento giusto per farla?”. Allora forse, e sottolineo “forse” riusciremo a rispondere nel modo giusto al “Coach, oggi giochiamo?”.

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